Le fornaci
Le Groane sono un territorio di brughiera di particolare interesse geologico, costituito da ripiani argillosi “ferrettizzati” che rendono l’ambiente assai particolare. Devono il loro nome, probabilmente, proprio al suo terreno duro e poco coltivabile, formatosi durante l’epoca preistorica quando il vento depose il “loess”, una sorta di manto di parecchi metri di spessore composto di argilla, sabbia, silt (materiale detritico). Nel periodo glaciale le Groane furono così coperte da un manto di argilla.
La testimonianza. Scriveva Scipione Breislak, Ispettore del Governo Austriaco nel 1822 a proposito delle Groane: “Dove l’argilla è coperta di uno strato sufficiente di terra vegetale, abbiamo buoni pascoli ed ottime praterie: la tenacità colla quale l’argilla ritiene e conserva l’acqua piovana o quella d’irrigazione contribuisce molto a mantenere l’umidità e la freschezza nello strato superiore della terra: ma non è così dove l’argilla si presenta quasi scoperta alla superficie del suolo. Tra le brughiere che sono alla sinistra dell’Olona ve ne è una detta la Groana, la di cui costituzione fisica è diversa dalle altre. Si estende la medesima da Solaro a Ceriano al sud est di Saronno verso Garbagnate e Senago, ed in quella estensione di terra di circa sei miglia in lunghezza, sopra un miglio di larghezza media, non vi germogliano che poche scarse piante di erica. Nel suolo di tale brughiera predomina l’argilla e perciò in diversi luoghi le acque delle piogge vi si arrestano in modo che vi formano molte pozzanghere e piccole paludi”.
Le origini. L’agricoltura non poté certo prosperare su questo tipo di terreno che, tuttavia rappresentò, e in parte rappresenta ancora, un’attività industriale. Infatti l’uomo nel corso della storia aprì cave per l’estrazione dell’argilla, la quale può essere lavorata, impastata, modellata, essiccata e cotta in fornaci. Sorsero così alle porte di Milano, sul luogo del “giacimento” le fornaci; hanno estratto, lavorato e cotto, modificando nel tempo con tecnologie sempre più moderne il paesaggio con le loro cave che hanno ribassato di un paio di metri buona parte del territorio. Le fornaci sono stabilimenti industriali, un grande sistema ingegnoso con un’unica alta ciminiera e con tanti forni collegati l’uno all’altro nei quali vengono cotti mattoni per ogni tipo di costruzione. Alcune delle fornaci del Parco risalgono addirittura alla metà del Settecento. Molte di esse sono oramai ruderi tra boschi e brughiere, importanti e suggestive testimonianze di archeologia industriale; altre sono state inglobate, trasformate o adattate ad altro tipo di attività. Nel dopoguerra se ne contavano 21, negli anni ottanta erano 7; oggi solo 2 fornaci rimangono in piena attività. Il Parco delle Groane ha promosso un Piano di settore Fornaci per stimolare il recupero intelligente di questi siti che con tutte le loro cave saranno recuperati a boschi, prati e sentieri per i cittadini. << top >>
LE VIE DEL MATTONE
Vale davvero la pena di programmare una visita al Parco Groane solo per raggiungere i siti che ospitano le testimonianze più interessanti. Possiamo organizzarci secondo tre direttive:
- Settore A (Castellazzo, Garbagnate, Senago, Cesate)
- Settore B (Solaro, Ceriano Laghetto, Cesano Maderno, Limbiate)
- Settore C (Cogliate, Misinto, Mazzate, Lentate sul Seveso, Barlassina)
Settore A
- Castellazzo . Segnaliamo nell’area verde in prossimità della Villa Arconati, i ruderi di due forni Hoffmannn. Attivi dalla fine dell’800, furono gravemente danneggiati nel 1917 dall’esplosione della vecchia polveriera di Castellazzo; ripresero la produzione a fasi alterne fino agli anni trenta quando furono smantellati. Rimane la struttura del forno della Società Anonima Laterizi di Bollate, diventata famosa per le dimensioni dei propri mattoni pieni con effetto da “bugnato”, utilizzati, tra l’altro, per le facciate di varie chiese di Milano (S. Giovanni alla Creta in Via Inganni, Quattro Evangelisti in Via Pezzetti, Santi Giovanni e Paolo in Via Maffucci).
- Senago . I ruderi della vecchia fornace Parodi, a cavallo del Villoresi, rappresentano un classico esempio del vecchio forno Hoffmann a 16 camere di cottura con ciminiera a bocche laterali. A poca distanza la nuova fornace Parodi, dotata di un forno Hoffmann a teste tagliate.
- Garbagnate Milanese. Fornace Fusi: tutto il complesso offriva uno spaccato dell’intero ciclo produttivo: dall’essiccazione sulle gambette alla cottura dei mattoni pieni nel forno. Visibile dal treno. Fornace Gianotti Beretta: ai lati delle Ferrovie Nord Milano, famosa ai tempi per la lavorazione di mattoni pieni per usi speciali: cunei per ciminiere e sagomati vari per chiese e cappelle funerarie. Al suo interno conserva una grandiosa doppia capriata in legno. (Non visitabile perché, purtroppo, pericolante.) . Fornace Macciacchini: la tipologia originaria dell’impianto è ancora inalterata ed è perfettamente riscontrabile, soprattutto nella parte posteriore del complesso. Questa fornace era conosciuta nella zona per un’attività collaterale che la legava ai cavalli: curiose opere in terracotta raffiguravano teste di cavallo, confermando la vocazione equestre spontanea, nata e coltivata nel contesto naturale e consono delle Groane. La fornace è andata a fuoco nell’estate 2003. Fornace Inverni: Sulla strada per Senago, è il complesso che negli anni ’40 Luigi Invernizzi ampliò fino a raggiungere una superficie di produzione utile di mq 160mila con oltre 400 addetti. Dotato di 3 forni Hoffmann, fu uno dei primi esempi di industrializzazione del settore a lanciare sul mercato i laterizi forati. E’ stata destinata ad altra attività.
Settore B
- Solaro. Fornace “Borghi e Cattaneo”: in totale rovina, la sua fama è, purtroppo, collegata agli effetti disastrosi della ciminiera che all’inizio del ‘900, investita da un ciclone, crollò assieme a parte del forno causando la morte di 16 persone.
- Limbiate. Fornace “Produzione Commercio Laterizi”: d’impianto ed organizzazione assolutamente moderni, ricorda solo in parte la struttura originaria già descritta nel 1837. Oggi i vari impianti di lavorazione, i nastri trasportatori, i silos, gli essiccatoi moderni, il forno a tunnel, i circuiti produttivi controllati elettronicamente hanno sostituito la tradizionale organizzazione del forno Hoffmann. Fornace “Aliberti”: la sua produzione è cessata da tempo e l’impianto al suo interno oggi accoglie altre funzioni. Il forno, ben visibile nel suo perimetro esterno, è affiancato dalle gambette per l’essiccazione. L’area un tempo ospitava una clinica di reintegrazione dell’attività motoria dei cavalli da corsa.
- Cesano Maderno. Fornace SNIA: fu acquistata dalla SNIA per essere utilizzata in proprio nell’opera di edificazione dello stabilimento in Cesano Maderno. Tipologicamente intatta nelle sue strutture perimetrali, nel percorso interno del forno e nei capannoni di servizio, costituisce ancor oggi uno degli esempi più pertinenti di fornace tradizionale. Fornaci Giussani: le fornaci “Enrico e Cesare Giussani” sono situate a poche centinaia di metri l’una dall’altra, sulla strada che congiunge il centro storico di Cesano Maderno con il villaggio operaio della SNIA. Soprattutto la prima “Enrico Giussani”, in stato di totale abbandono, merita di essere segnalata quale testimonianza di strutture produttive basate sul forno Hoffmann.
Settore C
- Cogliate . Fornace Pizzi: è forse la fornace, più “documentata” di tutte le Groane. Si hanno infatti notizie certe sulla sua storia, le sue trasformazioni e l’organizzazione interna. In funzione dal 1924, la produzione cessò nel 1971, lasciando sul terreno opere che il tempo ha risparmiato dalla distruzione totale: segni dell’antico percorso della linea ferroviaria a scartamento ridotto, edifici di servizio della produzione, impianti di produzione, gambette per l’essicazione dei mattoni, la portineria, i capannoni e i rustici per l’ammasso dei mattoni, che rappresentano un ideale strumento didattico-esplicativo. Oggi il sito è completamente inglobato in un rigoglioso giovane bosco naturale. Sotto una tettoia un artigiano deposita la propria attrezzatura.
(Notizie tratte da “L’archeologia industriale nelle Groane” di Edo Bricchetti)
Ma cos’è il Forno Hoffmann ?
Le più antiche fornaci erano dotate di un FORNO A FUOCO INTERMITTENTE per la cottura dei laterizi, alimentato a legna e strame. I mattoni venivano impastati a mano ed essiccati al sole, disposti in lunghe cataste (“gambette”) riparate da stuoie e venivano successivamente immessi nel forno spento. Il forno veniva avviato a fuoco lento per completare l’essicazione e poi a pieno fuoco per la cottura vera e propria. Tra gli inconvenienti quello che più incideva sulla produzione era sicuramente la saltuarietà del ciclo lavorativo che obbligava a lunghe ed improduttive soste in attesa del carico, cottura, raffreddamento e scarico del materiale; spesso gli stessi materiali cotti dovevano essere cotti una seconda volta per raggiungere un grado di cottura omogeneo. La rivoluzione del FORNO HOFFMANN consiste nell’aver introdotto l’azione continua con recupero del calore. Costruito originariamente su pianta tonda, il forno Hoffmann assume ben presto una forma allungata, che permette un passaggio uniforme delle correnti d’aria calda e fredda. Lo stesso camino centrale è passato a lato della fornace; le falde del tetto vengono allungate per proteggere i mattoni durante le fasi di carico e scarico attraverso le bocche laterali. Nel muro esterno sono praticate in giro varie aperture o porte, le quali servono a introdurre i materiali da cuocere, ad estrarli quando sono cotti e raffreddati. La cottura avviene in queste nicchie, che sono in diretta comunicazione con il camino dove brucia il combustibile composto da carbone ridotto in polvere. I singoli scomparti possono essere caricati e scaricati uno per volta, isolandoli dal fuoco in un ciclo continuo.
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